Il passato recente ci racconta come Apple abbia deciso di non “ubbidire” agli ordini del governo Statunitense riguardo allo sviluppo di una “backdoor” per violare un iPhone, e di come l’FBI abbia ritirato la sua denuncia poiché era stato trovato un metodo alternativo.
Vi avevamo detto, in quell’occasione, che nonostante si fosse evitato un lungo ed estenuante processo non era stato trovato un valido compromesso tra tutela della privacy ed integrità delle indagini e che di sicuro la storia non sarebbe finita lì.
Fummo facili profeti, poiché cambia il colosso hi-tech protagonista ma la storia resta sempre la stessa: Microsoft ha citato in giudizio il Dipartimento di Giustizia USA, accusandolo di applicare pratiche incostituzionali – violazioni del Primo e del Quarto Emendamento – durante le indagini.
Microsoft ha sollevato il caso poiché i suoi utenti hanno il diritto di sapere quando il governo ottiene l’autorizzazione a leggere le email e perché Microsoft ha il diritto di farglielo sapere.
Nell’occhio del ciclone ci sarebbero alcune delle autorizzazioni ottenute dal Governo per l’accesso a email, documenti e dati sensibili durante le indagini, che di fatto impongono a Microsoft (e a numerose altre big del settore) di rendere disponibile il materiale in possesso, senza rivelare ai propri clienti l’avvenuta consultazione dei dati che gli riguardano.
Più gli utenti Microsoft memorizzano le informazioni più private e sensibili nel cloud, più il Governo chiede (ed ottiene) ordini di segretezza. Negli ultimi 18 mesi, le corti federali hanno imposto circa 2600 ordini di segretezza, imponendo a Microsoft il silenzio ed impedendole di parlare dei mandati e degli altri processi legali che hanno coinvolto i dati degli utenti in loro possesso.
Inoltre, sottolinea Microsoft, ad aggravare il tutto è il limite temporale per l’accesso a questi dati che non sempre è definito – di fatto, il materiale potrebbe dover restare a disposizione del Governo per sempre.
[…] la valutazione [delle conseguenze negative, NdR] viene eseguita soltanto dopo che il Governo applica l’ordine di segretezza, successivamente il Governo stesso non ha obbligo di giustificare la continuazione di tali restrizioni neppure se le circostanze cambiano, ad esempio, se l’indagine è chiusa o se il soggetto scopre [l’indagine in corso] tramite altre vie.
Detto in termini spicci, Microsoft accusa il governo di applicare pratiche di segretezza troppo restrittive e troppo poco “regolate”, pur ammettendo che delle eccezioni sono necessarie in alcuni casi, ma che anche queste dovrebbero essere temporanee.
Ancora una volta, privacy e trasparenza (per gli utenti) contro privacy e segretezza (per autorità ed indagini): un argomento che scotta e per il quale un compromesso non è stato ancora raggiunto nonostante i vari “incidenti di percorso” provocati dalle rivelazioni di Edward Snowden nel lontano 2013.
Un compromesso che, in realtà, neanche è chiaro se possa mai esistere o meno.