Google l’ha spuntata e non dovrà ad Oracle neanche un centesimo.
E’ così che si conclude una controversia nata nel lontanissimo 2011 tra le due potenze tecnologiche: per dirla brevemente, Oracle – detentore dei diritti su Java – ha puntato il dito contro il big di Mountain View (e contro Andy Rubin) per aver utilizzato delle API in Android (3% del codice, per essere chiari) senza pagare le dovute royalties.
Nel 2012 una corte federale aveva dato ragione a Google ma, nel 2014, una seconda corte aveva accolto il ricorso in appello di Oracle e ordinato a Google un rimborso 9 miliardi di dollari, oltre chiaramente all’eliminazione delle righe di codice “incriminato”.
Il big di Mountain View ha poi agito immediatamente sul codice ed onde evitare il pagamento dell’ingente cifra si era rivolto alla Corte Suprema per un ricorso sul “fair use”, tuttavia tale corte aveva rifiutato di prendere in carico la richiesta e costretto Google a richiedere un ricorso presso la Corte Federale del Distretto Nord della California.
Ricorso che è stato ascoltato e di cui oggi è stata resa pubblica la sentenza: sebbene Google abbia di fatto usato API Java protette da copyright, l’ha fatto in modo corretto ed esente violazioni di diritti verso la controparte (“fair use”), dunque BigG non dovrà versare ad Oracle neanche un centesimo.
Grande importanza nell’esito del processo hanno avuto alcune email inviate da Andy Rubin, fondatore di Android, che ha continuato a sviluppare il sistema operativo anche dopo l’acquisizione da parte di Google. In una di queste, ad esempio, pare che Rubin muova delle critiche verso un’altra azienda che aveva deciso di basare il suo codice sulle API Java, all’epoca in possesso di Sun:
Io gli auguro buona fortuna. Le Java.lang.apis sono protette da copyright e Sun può far su di loro il buono ed il cattivo tempo.
Insomma si chiude così un contenzioso durato anni in cui Oracle non è riuscita, nonostante ci abbia provato fino alla fine, ad ottenere il rimborso per leso copyright desiderato da tempo. Il caso resta comunque a sé stante e non rappresenta un precedente, poiché l’uso corretto o meno del materiale protetto da licenza viene deciso volta per volta basandosi sulle specifiche circostanze.