Il metodo di comunicazione dei tempi moderni è semplice: sempre meno affidamento sulle reti voce e sugli SMS, sempre più invece verso le app di messaggistica “complete” come WhatsApp, Skype Messenger, Hangouts (che offrono anche chiamate Internet gratuite), Telegram, Viber e compagnia cantante.
Secondo il Garante delle comunicazioni Italiano, il fatto che tali app guadagnino dalla propria utenza con le rispettive strategie di marketing, offrendo servizi esclusivamente tramite Internet e rappresentando di fatto un’alternativa gratuita ad altri metodi di comunicazione che richiederebbero tariffazioni altrimenti specifiche (chiamate ed SMS, appunto) ed usufruendo di fatto dell’infrastruttura (Internet mobile, in tal caso) che i vari operatori hanno costruito nel tempo, sarebbe un comportamento sbagliato.
Un privilegio a queste app che, visti i costi che gli operatori nazionali pagano per il leasing delle reti dallo stato e per la costruzione delle proprie infrastrutture, non sarebbe dovuto: nell’indagine relativa ai “Servizi di comunicazione elettronica”, l’AgCom dichiara che le app di messaggistica (WhatsApp, Telegram, Messenger e via discorrendo) dovrebbero pagare una sorta di pedaggio per l’uso dei beni altrui, in questo caso l’infrastruttura di rete mobile.
Un pedaggio che potrebbe rappresentare “l’obbligo di negoziare” con le società di telecomunicazioni seppur in modo equo, proporzionato e non discriminatorio.
Secondo l’AgCom questo non dovrebbe essere una “tassa” imposta dagli operatori delle tlc (cosa che, se i prezzi imposti fossero alti, potrebbe portare i titolari delle app stesse ad evitare invece il mercato italiano) ma un incentivo ad offrire ad esempio servizi aggiuntivi a pagamento per l’utente che richiedano l’accesso al proprio credito telefonico.
In altre parole, secondo l’AgCom i titolari delle app dovrebbero fare in modo che gli utenti spendano il loro credito utilizzandole, pagando così indirettamente – tramite i propri utenti – il “balzello” per l’utilizzo dell’infrastruttura di rete italiana.
L’AgCom, per avvalorare la sua tesi, spiega inoltre che le app in questione sono soltanto apparentemente gratuite poiché utilizzano i dati degli utenti per trarne guadagno e che non sono sottoposte alla legge italiana sulla Privacy: secondo il Garante, anche in questo caso alle app dovrebbe essere richiesto un “titolo abilitativo” per operare in Italia.
Infine, ma non di minore importanza, secondo l’AgCom tali app dovrebbero aprire un call center in italiano per accogliere le lamentele ed i suggerimenti degli utenti ed attivare le chiamate gratuite verso i numeri di emergenza.
In poche parole: l’AgCom ritiene che le app di IM/chiamate (WhatsApp, Messenger, Telegram e via discorrendo) danneggino gli operatori e la stessa Italia in termini monetari e che, di conseguenza, dovrebbero adeguarsi per pagare direttamente o indirettamente un balzello per l’utilizzo di una rete che non gli appartiene al fine di arginare i “danni” – l’abbandono delle chiamate e degli SMS – dovuti al successo dei propri servizi.
Inoltre dovrebbero aprire un call center e permettere le chiamate d’emergenza.
E, giusta o sbagliata che sia questa proposta – perché di proposta si tratta -, la domanda sorge spontanea: è giusto che l’Italia pretenda così tanto da questa tipologia di app? E, soprattutto, i titolari di tali app saranno ancora disposti a tali condizioni ad offrire i propri servizi in Italia?