I rischi di condividere con qualcuno su Internet i propri scatti intimi possono essere alti e minacciare profondamente la privacy di una persona. Come mostrano i fatti di cronaca, vedere diffondersi ovunque immagini o video che ci ritraggono in momenti privati, per poi essere sottoposti al giudizio spietato del popolo del web, è pericoloso per la sanità mentale delle vittime.
Per questo motivo Facebook in Australia, dopo Microsoft e Google, ha intenzione di fermare il fenomeno del revenge-porn sul nascere (impedendo la diffusione di uno scatto) intercettandolo prima che avvenga l’irreparabile.
Facebook ha bisogno, però, delle foto di nudo dei suoi utenti per sviluppare un efficace algoritmo di identificazione.
In cosa consiste il test australiano
In collaborazione con l’agenzia governativa di stato, gli utenti che volontariamente decidono di partecipare all’esperimento, dopo aver compilato un questionario, devono inviare a se stessi su Messenger una foto “sensibile”. L’immagine viene poi trasformata in un codice hash in modo che qualora venisse pubblicata da qualcuno con cattive intenzioni, il sistema possa riconoscerla e bloccarla.
L’algoritmo sfrutta il nuovo Comparatore di Immagini e l’opzione di poter segnalare immagini pubblicate senza consenso. Facebook conta di esportare il test in futuro anche in Regno Unito, USA e Canada.
Perché nasce questa necessità?
I numeri del fenomeno secondo la Data Society Research Institute sono impressionanti. Circa il 4% degli utenti internet in America (10.4 milioni di persone) sono state minacciati o hanno subito revenge-porn, la percentuale si innalza al 10%, poi, se si considerano solo donne al di sotto dei 30 anni.
Secondo il Guardian, inoltre, in un solo mese i moderatori di FB hanno segnalato circa 51.300 casi di revenge-porn e 2.450 di sextortion (estorsione di denaro per non pubblicare foto non compromettenti).
Per proteggersi basta il buon senso
Nonostante le iniziative governative e dei Social stessi, casi come il CelebGate del 2014, insegnano che internet e i propri smartphone non sono un luogo sicuro dove poter custodire immagini e video così delicati. Facebook vorrebbe imporsi come un custode etico dei nostri segreti, ma quanto è veramente tutelata la nostra privacy in mano ad un’azienda?
Per cui, forse, una maggiore attenzione a cosa condividiamo e con chi, potrebbe essere una soluzione migliore al servirsi di un algoritmo.