C’era una volta il PageRank, quell’indicatore che fino a qualche (remoto) tempo fa era chiaro segnale della bontà di un sito web, e che Google valutava tantissimo ai fini del posizionamento.
Ciò ha chiaramente indotto i professionisti SEO – ma non solo questi – ad utilizzare tecniche che potessero accrescerlo il prima possibile, spingendo sui parametri considerati dall’algoritmo PageRank, appunto, per contribuire alla crescita quanto più celere possibile.
Il successo di PageRank è stato esso stesso il “boom” di Google ma, con l’evoluzione del web e della strategia con cui Google ha deciso di portare avanti i suoi servizi, il PageRank è diventato piuttosto riduttivo: non bastava più un solo indicatore per decidere chi dovesse stare in alto nella ricerca e chi no, non bastava che una rete di link o di keyword potesse decidere cosa potesse meglio rispondere (letteralmente) alle domande dell’utente.
Ed è per questo che, da diversi anni a questa parte, il PageRank è diventato man mano sempre meno indicativo… fino ad oggi, giorno in cui Google ha dichiarato di volerlo rimuovere dalla sua toolbar e di inibirne la visualizzazione agli utenti, che siano professionisti, navigatori o gestori. Dunque niente più indicatori, niente più “pulsantoni” col valore di PageRank, niente più strumenti online che lo mostrino, niente di niente.
In altre parole: il PageRank resterà un indicatore che (seppur in maniera limitata) influisce sui calcoli con cui Google decide il posizionamento dei risultati di ricerca, ma non potrà più essere “sfoggiato” o “consultato” come parametro effettivo di valutazione.
E questo, che lo si ammetta o no, sancisce in qualche modo la fine di un’era: la crescita del valore del PageRank ha coinciso con la crescita dell’importanza di Google e, dopo più di 10 anni, il PageRank è un valore che da solo non basta più e che è stato soppiantato da altre, complesse metodiche di valutazione, finendo quasi in coda alla lista delle “cose importanti”.
O, quantomeno, la stessa Google vuol (farci) credere che sia così.