Durante le ultime settimane c’è stato un gran trambusto su una delle questioni più sentite degli ultimi tempi: la tutela della privacy degli utenti contro le richieste governative di rivelazione dati, argomento ri-tornato prepotentemente a galla “grazie” agli eventi che legano la strage di San Bernardino, Tim Cook ed i federali statunitensi.
Restiamo su questa falsa riga ma spostiamoci leggermente più in basso: siamo in Brasile, precisamente nella metropoli di São Paulo, dove durante le scorse ore la polizia federale brasiliana ha arrestato il Vicepresidente di Facebook per l’America Latina, Diego Dzodan, seguendo un mandato disposto dal giudice di Lagarto.
Stando a quanto dichiarano gli agenti, l’accusa sarebbe quella di intralcio alla giustizia – poiché Dzodan avrebbe negato alla polizia l’accesso ad alcuni dati WhatsApp ritenuti importanti ai fini di un’indagine criminale concentrata sul traffico di droga.
Nella fattispecie, l’arresto sarebbe frutto di una “ripetuta inosservanza degli ordini del tribunale” – ordini emanati dal medesimo magistrato che ha ordinato il fermo – sulla divulgazione dei messaggi scambiati dai narcotrafficanti su WhatsApp; prima del fermo, a Facebook era stato imposto il pagamento di una multa giornaliera da 1 milione di reias per questo rifiuto – circa 300mila euro, che il colosso di Zuckerberg paga regolarmente da circa 30 giorni.
Siamo amareggiati. E’ una decisione estrema e sproporzionata. Siamo sempre stati disponibili e continueremo ad esserlo a collaborare con le autorità.
ha dichiarato un portavoce di Facebook.
Non siamo in grado di fornire informazioni che non abbiamo. Abbiamo cooperato nel pieno delle nostre capacità con questo caso e, pur rispettando il fondamentale ruolo delle forze dell’ordine, siamo in forte disaccordo con la loro decisione. Inoltre WhatsApp e Facebook funzionano in modo indipendente, dunque la decisione di arrestare un dipendente di un’altra società è estrema ed ingiustificata.
ha invece dichiarato un portavoce di WhatsApp, che continua spiegando le motivazioni alla base dell’impossibilità di soddisfare le richieste della polizia:
WhatsApp non memorizza i messaggi delle persone, li trattiene soltanto fino a che non vengono consegnati, dopo esistono soltanto sui device degli utenti. Nessuno, né WhatsApp né chiunque altro può intercettare o compromettere i messaggi degli utenti.
Una decisione dunque esagerata, stando a quanto dichiarano i portavoce delle due aziende, ma che probabilmente è il culmine di un disaccordo tra autorità brasiliane e WhatsApp che si protrae già da tempo: lo scorso Dicembre, ad esempio, un giudice di Sao Bernardo do Campo ordinò la sospensione di WhatsApp sull’intero territorio brasiliano per 2 giorni, decisione poi annullata da un secondo magistrato durante la medesima giornata.